Secondo i dati Aiom de “I Numeri del cancro 2021”, il tumore ovarico rappresenta ancora oggi una delle neoplasie ginecologiche più letali. Nel 2020, sono state stimate circa 5.200 nuove diagnosi. L’elevata mortalità associata a questo tumore è attribuibile a molti fattori tra cui una sintomatologia aspecifica e tardiva e l’assenza di strategie di screening validate che consentano di effettuare una diagnosi precoce.
Nel corso di questo incontro di Unica, vivere con il tumore ovarico, esperti e pazienti dialogano mettendo in luce i bisogni delle donne nel percorso della malattia. Questa, dal titolo “Tumore ovarico: ogni paziente è UNICA. Conoscere per riconoscere e convivere con la patologia”, è la prima di nove puntate realizzate da Sics editore, con il contributo non condizionante di Clovis Oncology. Intervengono Alessia Sironi, paziente e presidente ACTO Lombardia – Alleanza contro il Tumore Ovarico, Giusy Scandurra Direttore FF Oncologia Medica Osp. Catanzaro, Catania e Giorgio Valabrega, Professore Associato di Oncologia all’Università di Torino.
Ogni paziente è Unica
Nonostante un percorso spesso comune, l’esperienza di ogni paziente con il tumore ovarico è unica. Ad Alessia Sironi è stato diagnosticato un tumore al seno nel 2010. Si è sottoposta a chirurgia e a trattamenti di chemio e radio terapia. Dopo cinque anni di lotta contro il cancro, ha ricevuto una nuova diagnosi, questa volta di tumore all’utero, in seguito alla quale si è sottoposta a un intervento chirurgico che ha portato all’asportazione di utero, ovaie e tube. “L’ho vissuto come un lutto. Una mutilazione della mia femminilità”, racconta.
È una storia purtroppo già sentita, osservano Scandurra e Valabrega. E questo vuol dire che le pazienti hanno delle esigenze comuni, affrontano difficoltà simili, e si può lavorare per cercare di supportarle al meglio. D’altra parte, osserva Valabrega, nonostante le conoscenze e le terapie anche molto efficaci a disposizione, non si può mai prevedere quale sarà il percorso della singola persona.
Prevenzione: l’importanza del test per la mutazione BRCA
Purtroppo, osserva Scandurra, contrariamente a quanto accade per il seno o l’utero, non esistono dei test di screening che possono essere effettuati periodicamente per identificare precocemente il tumore ovarico. Per questa ragione nella maggior parte dei casi questo tumore viene identificato in uno stadio avanzato, in cui la malattia è uscita dall’ovaio.
Ci sono delle accortezze che ogni donna dovrebbe avere, continua Scandurra, come fare attenzione ai cambiamenti nel proprio corpo (gonfiore addominale, l’alternarsi di periodi di stipsi e di diarrea), ma anche sottoporsi a visite ginecologiche con ecografia transvaginale ogni anno, fare attenzione agli stati di endometriosi e sottoporsi a controlli in caso di familiarità per alcune forme di tumore, come quello mammario, ovarico e del colon.
“Oggi le donne con carcinoma ovarico hanno la possibilità di sottoporsi al test che identifica mutazioni nei geni BRCA, delle variazioni del Dna che espongono la donna a un rischio importante di carcinoma ovarico”. Se una paziente risulta positiva al test non solo è possibile procedere a trattamenti più mirati nel percorso di cura, ma anche sottoporre al test le altre componenti della sua famiglia. “Se una parente è positiva al test, pur non essendo malata di cancro, può sottoporti a interventi precoci, controlli specifici o mastectomia profilattica”, aggiunge Scandurra. “Sono interventi dolorosi, ma che permettono di evitare l’insorgenza del tumore”.
Approccio multidisciplinare
Una volta diagnosticato il tumore, un team multidisciplinare, composto da chirurghi, oncologi e ginecologi sceglie il miglior trattamento possibile. “La chirurgia in questi casi è spesso molto aggressiva e viene preceduta o seguita da chemioterapia”, spiega Valabrega. “Di recente sono emerse delle novità per quanto riguarda le terapie di mantenimento, con una nuova categoria di farmaci, i Parp inibitori, che colpiscono specifiche alterazioni genetiche e hanno dimostrato la capacità, dopo la chemioterapia, di ridurre il rischio di recidiva in maniera drastica”.
Si tratta di terapie assunte per via orale, a domicilio. Un importante progresso, osserva Scandurra, perché questo rende la donna più libera, meno ospedalizzata, sebbene mantenga il controllo della malattia. Si tratta di farmaci molto maneggevoli, con una tossicità molto inferiore rispetto a quella dei chemioterapici.
Secondo Scandurra la multidisciplinarità è un’arma vincente, “ma la componente strettamente medica”, osserva la dottoressa, “non è sufficiente. La paziente è una donna e deve continuare a vivere nella società, mantenere le relazioni e i rapporti facendo i conti con un cambiamento sconvolgente”.
L’immagine del corpo di una donna in cura per un tumore cambia, a causa dei trattamenti che lasciano cicatrici, provocano alopecia, nausea. Le donne possono avere difficoltà nella sfera sessuale e tutti questi aspetti vanno affrontati. “La paziente deve sentirsi libera di scegliere se indossare una parrucca o un foulard, senza sentire il bisogno di nascondersi”.
In questo percorso la figura dello psico-oncologo è fondamentale. “Per me è stato essenziale, mi ha aiutata a far fronte al lutto”, commenta Alessia Sironi.
Donna a 360 gradi
“Sentire che dall’altra parte ci sono delle persone che hanno a cuore il tuo essere donna a 360 gradi è fondamentale”, aggiunge la Presidente di ACTO Lombardia.
L’associazione ACTO (di cui fa parte ACTO Lombardia) nasce dall’esperienza di cinque donne che con alcuni medici, consapevoli dello sconcerto provocato da una diagnosi di tumore, volevano aiutare altre pazienti ad affrontare questa esperienza. ACTO si prefigge quindi di fornire alle pazienti informazioni chiare e di orientarle verso centri di cura specializzati.
“Avere accanto delle donne che hanno già affrontato questo percorso, per aiutarti a capire quale sia la strada più giusta secondo me è molto importante”.
di Camilla De Fazio